INTER:REVOCA DEL TITOLO È RADIAZIONE CLUB TRUFFATI

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L’annuncio del rifinanziamento del bond da 415 milioni di euro da parte dell’Inter, ora sceso a circa 412 milioni e in scadenza a febbraio 2027, non è una scelta strategica per la crescita, ma una necessità finanziaria e regolamentare impellente. Senza questo intervento, l’Inter non avrebbe potuto iscriversi al campionato 2026/27. Questa mossa, sebbene necessaria, solleva pesanti interrogativi sul passato e sulla correttezza della competizione sportiva. La situazione attuale affonda le radici in un percorso iniziato nel 2015, culminato nel 2022 con un bond da 415 milioni al 6,75% di interesse, in scadenza a febbraio 2027. Questo è il bond che l’Inter sta rimborsando anticipatamente, tramite un nuovo finanziamento che ne coprirà l’importo. Il rimborso è fissato per il 26 giugno 2025, con un costo del 101,6875% del valore nominale più interessi maturati. L’urgenza di questa operazione è dettata da una precisa norma: da febbraio 2026, il bond sarebbe diventato una passività a breve termine, compromettendo gli indicatori finanziari cruciali per l’iscrizione al campionato 2026/27. In quella stagione, un nuovo organismo indipendente di controllo finanziario subentrerà alla Covisoc, e proprio qui emergono le ombre più inquietanti.
La manovra finanziaria dell’Inter impone un’analisi spietata sul ruolo della Covisoc. Se un debito a breve termine di oltre 400 milioni avrebbe precluso l’iscrizione alla Serie A, come è stato possibile che l’Inter abbia operato con un tale fardello finanziario negli anni precedenti senza che i controlli fossero minimamente efficaci? Le implicazioni di una vigilanza che “ha chiuso un occhio e mezzo”, come sfacciatamente suggerito, sono di una gravità inaudita. Se il nuovo organismo di controllo fosse stato operativo già nel 2024, l’Inter avrebbe rischiato concretamente l’esclusione dalla Serie A, data la vicinanza della scadenza del bond. Questo scenario non solo getta un’ombra sinistra sulla legittimità delle iscrizioni ai campionati passati, in particolare dal 2021 ad oggi, ma solleva anche questioni brucianti sulla regolare competizione in Italia e in Europa. L’Inter, ostentando il monte ingaggi più elevato e un debito così colossale, avrebbe dovuto necessariamente ricorrere a iniezioni di capitale da parte della proprietà – un’opzione impraticabile fino al 2024 a causa delle disastrose finanze di Zhang – o cedere i propri talenti per rientrare nei parametri. La palese mancanza di controlli rigorosi ha permesso al club di mantenere una competitività artificiale, distorcendo irrevocabilmente il panorama sportivo. Questa inerzia, o peggio ancora, questa complicità, ha alterato la lealtà sportiva, consentendo all’Inter di competere con un vantaggio illegittimo, un vantaggio che si traduce in un danno diretto per tutti gli altri club che hanno dovuto rispettare le regole. Si dovrebbe parlare apertamente di punizioni sportive e penali per il club, la cui condotta ha palesemente violato i principi di equità. Non solo, l’immobilismo della Covisoc, della FIGC e della UEFA di fronte a questa situazione meriterebbe un’analisi approfondita, che potrebbe persino portare al commissariamento della FIGC, incapace di garantire la trasparenza e la legalità del nostro calcio.
Il nodo cruciale risiede nel fatto che i debiti a breve scadenza abbattono in maniera drastica l’indice di liquidità, un parametro ineludibile per l’iscrizione ai campionati. L’assoluta assenza di controlli stringenti su questo fronte ha consentito all’Inter di operare come una delle squadre più indebitate con il monte ingaggi più stratosferico, una combinazione che in condizioni normali avrebbe imposto interventi drastici e dolorosi. Controlli seri avrebbero costretto la società a una scelta brutale: una ricapitalizzazione diretta massiccia o un drastico ridimensionamento della rosa, con una conseguente perdita di competitività che avrebbe riportato l’Inter alla sua reale dimensione finanziaria. La nuova operazione di rifinanziamento, che si aggira intorno ai 300 milioni di euro, rivela un’altra dinamica sconcertante. Se il bond da rimborsare è di circa 412 milioni, la differenza di circa 100 milioni verrà coperta dall’Inter stessa, attingendo a liquidità interna. Questa liquidità, superiore ai 100 milioni, è il frutto di una stagione eccezionale dal punto di vista economico, ma è fondamentale sottolineare che si tratta di introiti straordinari e non strutturali. Ciò che emerge con una chiarezza disarmante è che Oaktree non ha versato un solo euro di capitali propri per questa operazione, sfruttando cinicamente la liquidità preesistente del club. Questo approccio è diametralmente opposto a quello di altre squadre italiane, come la Roma dei Friedkin o la Juventus di Exor, dove le proprietà hanno partecipato attivamente al rifinanziamento dei debiti o a operazioni di ricapitalizzazione diretta.
Questo intervento, sebbene offra un respiro immediato, non è una soluzione definitiva, né tantomeno una mossa di rilancio. Consente di alleggerire il debito a bilancio nel breve periodo e, soprattutto, garantisce l’iscrizione al campionato senza rischi regolamentari. Ma il debito non scompare; viene solo posticipato e parzialmente ridotto grazie ai fondi già presenti nelle casse societarie. Nulla è ancora ufficiale riguardo il nuovo finanziamento. In definitiva, il rifinanziamento del bond da 412 milioni è una manovra fondamentale per la sopravvivenza sportiva e finanziaria dell’Inter, mirata a evitare un crollo catastrofico del valore dell’asset e a guadagnare tempo prezioso per trovare un acquirente. Ma l’obiettivo di Oaktree, al di là delle dichiarazioni di facciata, sembra essere quello di preservare il valore del club senza investire risorse proprie, per poi procedere alla vendita il prima possibile. La questione più pressante, tuttavia, resta quella del controllo: l’assenza di una vigilanza adeguata negli anni passati ha permesso all’Inter di operare in un regime che ha inquinato palesemente l’equilibrio competitivo. Sarà il nuovo organismo di controllo a dover ristabilire un livello di equità che, a quanto pare, è venuto clamorosamente meno. Se solo l’Italia fosse un paese meno corrotto, forse avremmo un calcio più giusto e credibile. Luigi Di Perno

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