GLI EFFETTI DEL RICORSO DI AGNELLI E COME IL TAR SMONTA LA GIUSTIZIA SPORTIVA

Nella settimana che ha chiamato al voto decine di milioni di cittadini europei, il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) del Lazio ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la decisione su alcuni aspetti rilevanti delle norme che regolano la nostra Giustizia Sportiva e, di riflesso, i diritti professionali (e non solo) delle persone che operano nel mondo dello sport italiano. Non è facile per chi non esercita professioni forensi interpretare il linguaggio usualmente tecnicistico utilizzato dai Tribunali per motivare le proprie decisioni e, però, credo sia opportuno darne ai lettori un riassunto intellegibile proprio perché l’ordinanza pubblicata il 6 giugno 2024 dal TAR Lazio riguarda fondamentali principi attinenti l’appartenenza di ognuno di noi alla vastissima comunità dell’Europa ed il rispetto delle sue regole.
Rammentato che questa decisione è stata sollecitata da un ricorso promosso da AndreaAgnelli contro la Figc, il Coni e i loro organi di giustizia, al fine di censurare sotto molteplici profili le decisioni che hanno condotto alla sua lunga inibizione nell’ambito del c.d. “procedimento plusvalenze di Juventus FC”, il Tar Lazio ha innanzitutto richiamato, in modo puntuale, i costanti precedenti della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE laddove il noto principio di “autonomia dell’ordinamento sportivo” non è stato considerato prevalente rispetto ai principi dettati dalla Unione Europea in materia di libertà economica e professionale e di tutela giurisdizionale effettiva.
In parole povere, il TAR è partito dalla premessa che agli organi di giustizia delle Federazioni sportive, nella loro autonomia, non possa essere attribuito il potere di incidere sulle libertà prefessionali, senza che sia possibile un ulteriore passaggio (e controllo) della Giustizia Ordinaria, in questo caso quella Amministrativa. La Giustizia Sportiva italiana, invece, limita questo controllo alla sola possibilità di chiedere al Tar un risarcimento del danno, nell’ipotesi accertata di illegittimità delle sanzioni comminate, ma in questo modo viola il principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art.19 del Trattato U.E. e dall’art.47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’U.E.
Questo perché il solo risarcimento del danno non è idoneo, infatti, a rimuovere gli effetti negativi che, ad esempio, una squalifica o un’inibizione per tempi rilevanti possono avere sulla libertà professionale ed economica di uno sportivo o di un dirigente. Non solo, ma il diritto dell’Unione Europea prevede requisiti di assoluta indipendenza, terzietà e imparzialità dei soggetti giudicanti, quali quelli garantiti dalla giustizia ordinaria. Mancanze, queste, ancor più gravi e rilevanti quando le sanzioni interdittive sono inflitte “a un manager di livello apicale di società quotata in borsa”. Il Tar però non si è fermato a questo solo, pur rilevante, aspetto.
I dubbi sulla legittimità dell’art. 4
Partendo dal principio generale del diritto europeo secondo il quale alle sanzioni amministrative aventi “carattere gravemente afflittivo” deve essere applicato il principio di legalità che prevede la “tassatività e sufficiente determinatezza della sanzione”, ha seriamente posto in dubbio la legittimità dell’art.4 del Codice di Giustizia della Figc (quello che, nel caso di violazione del precetto indeterminato della cosiddetta “lealtà sportiva”, prevede un ampio ventaglio di sanzioni, da quelle più blande fino a inibizioni pesantissime).
In effetti, sulla base di un principio (la “lealtà sportiva”) assolutamente generico e non sorretto dalla certa previsione di comportamenti specifici (in gerogo la “tipizzazione”), può essere comminata al dirigente sportivo una sanzione che può essere equiparata ad un “ergastolo professionale” e, come tale, contrario anche ai principi di libero esercizio delle attività lavorative nel territorio dell’Unione Europea (come già ho avuto modo di argomentare in relazione alla inibizione pluriennale inflitta a Fabio Paratici).
In definitiva, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si dovrà esprimere su quesiti che ad ogni assennato cittadino parrebbero del tutto scontati: è accettabile che la Giustizia Sportiva italiana e le norme che la regolano violino i principi di legalità sanciti dalle norme europee in tema di libertà professionale, di tipicità e tassatività nella previsione dei presunti illeciti e delle pene, di pieno ricorso alla giustizia ordinaria o amministrativa? Purtroppo la doverosa risposta non arriverà in tempi ragionevolmente brevi.